venerdì 3 febbraio 2012

SMP.3 - L’ultimo cannone di Pozzuoli










SMP-3
L’ultimo cannone di Pozzuoli


A quelli come me che nei primi anni ‘50 iniziavano a percorrere la provinciale Via Miliscola, sulla sinistra, poco oltre la chiesa di San Marco, appariva un elegante edificio in stile “littorio”, già sede della Biblioteca e della Scuola Professionale dello Stabilimento Ansaldo.
Sulla fiancata orientale di tale edificio, quindi ben visibile dalla predetta strada, era scritto a caratteri cubitali e su due righe la dicitura:


STABILIMENTI MECCANICI
DI POZZUOLI


Scritta che vediamo anche nella foto n.1 ripresa prima del 1956, anno in cui questa porzione di cantiere è ceduta all’americana “Sunbeam” di Chicago. La Sunbeam, produce piccoli elettrodomestici e utensili per la casa e a Pozzuoli concentra la sua produzione sulle lame per rasoi. Sebbene il quadro dirigenziale sia straniero, o di altre regioni italiane, gli operai sono assunti localmente, in maggioranza donne; il lavoro richiede estrema precisione ed abilità. Il fatturato dei primi anni lascia intravedere un futuro abbastanza stabile ma la crisi del settore porta nel 1969 ai primi licenziamenti, e alla chiusura definitiva nell’anno seguente.
Sempre nella foto si nota la vecchia palificata della Società Meridionale Elettrica e si distingue l’ormai tappato buco nel muro che permetteva a noi bambini della zona “mulino” di accorciare per raggiungere la spiaggia oggi occupata dalla banchina dei Cantieri Maglietta. Veri bagni di sangue quelli fatti i giorni di mercoledì e venerdì in coincidenza con l’attività del macello comunale. Il mattatoio scaricava in mare il raccolto dei suoi tombini e noi uscivamo dall’acqua tutti rossi di sangue, come piccoli “Sigfrido”.
Ogni giorno, uscendo da scuola e ritornando a casa in Villa Maria, leggevo e memorizzavo l’enorme scritta che pensavo fosse direttamente proporzionata alla importanza e grandezza dell’Azienda cui apparteneva; così immense come le insegne poste sui serbatoi e sulle tettoie. Queste ultime leggibili solo dall’alto della “Starza”, ovvero dal belvedere prossimo al “Villaggio del Fanciullo”.
Quella descritta era la nuova ragione sociale di ciò che inizialmente fu la “Armstrong” e poi la “Ansaldo Artiglierie”. Industrie all’avanguardia finché nel 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale, sono danneggiate prima dai bombardamenti alleati e successivamente dalla congiunta rabbia distruttiva di tedeschi in ritirata e di fascisti nostrani.
Nel 1947 all’Ansaldo subentrano gli S.M.P. (“Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli”) che abbandonano le fabbricazioni belliche, per dedicarsi alla produzione meccanica media, fucinatura, stampaggio e carpenteria.
Nel 1948 questi stabilimenti passano sotto il controllo “I.R.I.”, come diramazione della finanziaria “Finmeccanica”. Inizia così anche la costruzione di materiale rotabile ferroviario prima con l’insegna degli stessi S.M.P. per proseguire poi nel 1957 con l’AERFER ed infine nel 1967 con la SOFER.
Che si costruissero treni è noto a tutti, ma non tutti sanno che fino alla fine degli anni ‘50 in questo stesso stabilimento venivano ancora progettati e costruiti pezzi di artiglieria navale che trovavano utile impiego su alcune unità delle flotte italiana, olandese, danese e indonesiana.
Sembra strano che il principale cantiere della “rossa” Pozzuoli operaia possa aver costruito strumenti bellici nel democratico periodo repubblicano; dopo la tragica avventura del fascismo, dell’imperialismo e della luttuosa guerra aggressiva. Nell’immediato dopoguerra gruppi politici di sinistra, ma anche di centro, si battono per una pacifica riconversione della produzione bellica ritenuta diretta emanazione del nefasto imperialismo.
Gli operai del nord hanno, nel tragico periodo post armistiziale, boicottato i tedeschi e nello stesso tempo salvaguardato gli impianti di produzione pensando al futuro. A Pozzuoli sono i locali fascisti a guidare i tedeschi nella loro opera di distruzione degli impianti industriali. Restano pochi macchinari adatti alla produzione di artiglierie ma in fabbrica ci sono capacità, esperienza e lavoratori che non demordono e non si arrendono. Lo stabilimento è ancora immenso, il personale numeroso anche per motivi sociali, le commesse civili tardono a decollare, pertanto lo S.M.P. inizia in sordina, nella sua forma primigenia, la progettazione e la costruzione di un moderno pezzo d’artiglieria navale. Si tratta di un cannone anti aereo da 76mm, cioè da tre pollici, da cui scaturisce la sua sigla “SMP-3”. All'epoca si sta verificando l'inadeguatezza del munizionamento da 40mm contro gli aerei moderni, soprattutto perché tale munizionamento non permette l'adozione di spolette di prossimità. Esiste una direttiva generale NATO verso il calibro da 76mm (3"); gli americani cercano di automatizzare il loro 76/50; gli inglesi sperimentano su questo stesso calibro; svedesi e francesi su calibri inferiori; solo l' Italia, con risultati validi ancora adesso, adotta un sistema totalmente nuovo. Lo “SMP-3” è un impianto singolo scudato da 76/62mm antiaereo di nuova generazione completamente automatico, a tiro rapido in grado di sparare colpi singoli o a raffica. Il caricamento avviene automaticamente mediante un tamburo ruotante con 14 colpi; ad esaurimento della raffica i bossoli vengono espulsi colpo per colpo, la canna si predispone alla massima elevazione di 90° ed il tamburo viene ricaricato in maniera automatica; questa manovra avviene in 3 secondi e la cadenza media del tiro è di 50 colpi al minuto. La gittata massima è di metri 16.000, l’altezza del vertice di traiettoria di metri 11.500, il peso del proiettile di kg.6 e la velocità iniziale di 959 metri al secondo. Questa artiglieria viene montata sulle 8 corvette classe “Alcione” (foto n.2) costruite da cantieri italiani tra il 1953 ed il 1956; prime unità di scorta realizzate nel dopoguerra. Sono tutte costruite su commessa NATO nell’ambito del “MDAP” (Mutual Defense Assistance Program), tre per l’Italia, 4 per la Danimarca ed 1 per l’Olanda. Su di esse sono imbarcati, fra i diversi sistemi d'arma di nuova progettazione e costruzione nazionale, anche due complessi di questo cannone, uno a prua ed uno a poppa, e sotto coperta si trovano i relativi due depositi munizioni per i proiettili. I pezzi sono asserviti ad una centrale di tiro radar, anch’essa di concezione italiana, con colonnina di puntamento, con antenna radar, posta sul cielo della tuga centrale (foto n.3). Due simili complessi per unità sono montati sulle leggermente diverse corvette, “Surapati” e “Iman Bondiol”, che in quegli anni i cantieri italiani consegnano all’Indonesia. In totale sono costruiti 20 complessi oltre a parti di rispetto, soprattutto quelle di usura, tra cui certamente le canne di ricambio. E’ da notare che il 22 gennaio 1954, l’ambasciatore italiano a Tel Aviv, Benedetto Capomazza di Campolattaro, informa il ministero degli Esteri che l’addetto navale israeliano a Roma gli ha comunicato l’intenzione del suo governo di acquistare siluri presso il Silurificio di Livorno per un ammontare di un milione di dollari e di essere interessato all’acquisto di cannoni prodotti dalle Officine Meccaniche di Pozzuoli. Questa richiesta non si concretizza per opportunità di politica internazionale e nel contempo il Governo Italiano decide di concentrare presso lo stabilimento “OTO Melara” di Livorno tutta la produzione e lo sviluppo delle artiglierie. Poiché le commesse civili di materiale ferroviario non sono sufficienti ad assicurare la sopravvivenza del grande stabilimento, all’approssimarsi di una nuova crisi l’Onorevole Giovanni Roberti così interviene in Parlamento, con una sua interpellanza, nella seduta del 13 novembre 1957.
«Si dice che gli stabilimenti meccanici di Pozzuoli sono particolarmente attrezzati per la fabbricazione delle artiglierie. Anzitutto, questo è un mercato da non buttar via. Credo che nessun rappresentante sindacale, quali che possano essere le esigenze, anche di dottrina politica internazionale, che potrebbero ispirare le sue affermazioni, interpreterebbe realmente il pensiero e il sentimento dei lavoratori di Pozzuoli e della provincia di Napoli se dicesse che si dovrebbero respingere le possibilità di lavoro per la fabbricazione di artiglierie. I cantieri Ansaldo di Pozzuoli hanno costruito celebri artiglierie, hanno anche una gloriosa tradizione patriottica, e sono conosciuti abbastanza sui mercati internazionali per la capacità delle maestranze, la fedeltà nelle esecuzioni, la riservatezza dei dirigenti e per un complesso di fattori spirituali e tecnici che rendono accreditato uno stabilimento su determinati mercati. Questo però non autorizza a sciorinare dei luoghi comuni. Di specifico per la fabbricazione dell’artiglieria non vi è altro che la rigatura, ed è un artigliere che vi parla; tutto il resto e industria meccanica, anche le fucinature, gli stampaggi, che possono fabbricare tanto proiettili come camicie di cilindri e altre cose. Non si venga dunque a dire che si tratta di attrezzatura bellica.»
Nel 1957 le nuove fregate della classe “Centauro” rappresentano i primi esemplari di naviglio per la scorta d'altura costruito in Italia nel dopoguerra. Loro caratteristica peculiare è il nuovo pezzo da 76/62mm "sovrapposto", (foto n.4) costruito dalla “OTO Melara” in torri binate sull’esperienza scaturita dallo “SMP-3”. Trattasi di un complesso con disposizione insolita di due canne sovrapposte con caricamento completamente automatico e continuo, che avviene per mezzo di apposite norie a qualsiasi elevazione; dotato di forte velocità di brandeggio e cadenza media di tiro di 60 colpi al minuto per canna. Abbiamo visto che l' impianto “SMP-3” ha una sorta di tamburo, tipo revolver, che completata la sequenza di tiro, viene portato alla massima elevazione di 90° per la ricarica del tamburo. Evidentemente un sistema abbastanza complesso, con notevoli inerzie, ed un cero ritardo anche nel rientro in punteria. Uno dei problemi riscontrati è il metodo e la velocità di alimentazione del "tamburo o revolver”. Sulla corvetta olandese “Linx”, poi restituita all'Italia come “Aquila”, si verifica un grave incidente; durante la fase di aggancio di una cartuccia nella noria, dove il movimento è assicurato da rulli, si verifica un intoppo, bloccando la cartuccia in una determinata posizione. Si parlò a suo tempo di eccessiva od errata lubrificazione, ed il movimento dei rulli sulla cartuccia bloccata, con l'attrito, portarono al surriscaldamento ed alla successiva esplosione della carica. Purtroppo ci furono vittime e questo ebbe gravi ripercussioni sullo sviluppo del cannone. Le speranze si riversarono verso la torretta “sovrapposto” ma anche le sue prestazioni si rilevarono insoddisfacente ed anch’essa, come lo “SMP-3”, ebbe solo funzione di prototipo. Nel 1958 la “OTO Melara” inizia a lavorare su una nuova versione a canna singola, il modello 76/62 “allargato” in consegna dal 1961 per un totale di 84 complessi per la sola Marina Militare Italiana. Da questo modello scaturirà poi il 76/62 tipo “compatto”, ultimo discendente del puteolano “SMP-3”, che riscuoterà un forte successo commerciale venendo adottato, in migliaia di esemplari, da quasi tutte le marine mondiali.



Giuseppe Peluso

4 commenti:

  1. Anche se in ritardo ,dobbiamo ricordarci che eravamo ,siamo e saremo sempre i migliori nella progettazione di armamenti.....peccato che la burocrazie e le menti contorte di uqlcuno ,non abbiano avuto tolleranze tali da portare avanti questi progetti...
    Che peccato,,,,,si potevano mantenere centinaia di famiglie...
    Peggio di così non si puo'
    Che vergogna.....
    ex sottufficiale Marina Militare Italiana 87VB ( per chi e' stato )
    " Altius Tendam "

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    1. Ma migliori di chi?

      Gli svedesi in quello stesso tempo facevano un cannone da 60 c/min calibro 120 mm.

      Poi non è affatto vero che gli americani e gli inglesi facevano cannoni da 76 di vecchio tipo, al contrario ne progettarono di fin troppo ambiziosi. Sarebbe bastato ridurre le esigenze operative e avrebbero preceduto gli italiani di 10 anni sul settore cannoni a.a. da 76 mm.

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    2. Ma migliori di chi?

      Gli svedesi in quello stesso tempo facevano un cannone da 60 c/min calibro 120 mm.

      Poi non è affatto vero che gli americani e gli inglesi facevano cannoni da 76 di vecchio tipo, al contrario ne progettarono di fin troppo ambiziosi. Sarebbe bastato ridurre le esigenze operative e avrebbero preceduto gli italiani di 10 anni sul settore cannoni a.a. da 76 mm.

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  2. Grazie per queste splendide pagine di memoria storica, di quello che fu la nostra città.

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