martedì 23 luglio 2013

Ezechiele Guardascione








Ezechiele Guardascione

Ombre e crepuscoli di un paesaggista flegreo



Insieme a Pasquale Manduca, Vincenzo Ciardo, Giovanni Brancaccio, Leon Giuseppe Buono ed al più giovane Salvatore Volpe, Ezechiele Guardascione appartiene alla Scuola Puteolana di Pittura conosciuta come Gruppo Flegreo.
Ezechiele nasce a Pozzuoli il 2 settembre 1875 da Vincenzo, proprietario terriero, e da Rosa; la sua giovanile formazione di pittore si svolge all'Istituto di Belle Arti di Napoli, all'epoca in cui ancora vi insegna Domenico Morelli. In questa scuola è accolto, su segnalazione del commendatore Alfonso Simonetti, da Filippo Palizzi che lo accetta senza esitazioni al suo corso di pittura. Tale insegnamento lo conduce a preferire il tema del paesaggio ed in particolare le marine del porto di Napoli e Pozzuoli nelle ore misteriose e silenti. Diventa un impressionista d’ingegno vivace e versatile e lavora con la stessa disinvoltura a tempera ed a olio.
Vive a Pozzuoli fino alla fine dell’ottocento partecipando alla vita culturale della città intrecciando fertili rapporti con colleghi artisti e letterati, ospiti della sua casa che svolge funzione di cenacolo culturale. Nel 1892 è tra gli autori del giornale “Don Checco” diretto da Raimondo Annecchino. Ezechiele è responsabile della cronaca e vi pubblica  le gustose “macchiette puteolane” che ritraggono tipiche figure popolari. Risale al 1898 la sua partecipazione all'Esposizione Nazionale di Torino con il dipinto “Nel pantano” raffigurante una veduta della tenuta reale di Licola, attualmente a Napoli nel Palazzo della Provincia, che ottiene il primo premio.
Agli inizi del Novecento sposa Giovanna Scattoni, di nobili origini, dalla quale ha due figli, Vincenzo e Francesco. A partire da questo periodo Guardascione alterna l'attività di pittore a quella di critico, insegnante e promotore della cultura artistica napoletana; dedicandosi con sempre maggior impegno a questi campi e riducendo la partecipazione alle esposizioni.
Nel 1910 inizia ad operare da uno studio galleggiante; una chiatta messa a sua disposizione da un industriale del carbone, il commendatore Roberto De Sanna. Costui, che per un certo tempo è stato anche impresario del teatro San Carlo nonché amico ed ispiratore di Eduardo Scarfoglio, è il padre della signorina Maria De Sanna che nel 1918 acquista dalle sorelle Ferraro, Maria e Immacolata, il Casino Ferraro sito in località la Starza a Pozzuoli. Guardascione racconta che quando Roberto De Sanna vede alcune sue macchie di Napoli gli domanda se per caso conosce il lato del porto dove attraccano i grandi vapori del carbone. “Andate mi disse, telefonerò al capo guardiano che si mette a vostra disposizione. Così ebbi una vecchia zattera sulla quale era stata costruita una specie di baracca che venne imbiancata al mio arrivo”.
Le marine e le scene di porto sono i temi preferiti di quegli anni; le opere dipinte costituiscono un’interpretazione visionaria della vita portuale di una grande città, che Guardascione rende attraverso un colore fuligginoso, mentre le forme si impastano in un’atmosfera grigia, in cui emergono, come fantasmi, sartiame, gru, fumaioli, in un intrigo fitto di segni neri che danno un senso dinamico ed inquieto.
Nel 1911 espone la sua opera “Il Porto” alla XXXIV Promotrice Salvator Rosa che è premiata dal Regio Istituto di Incoraggiamento e acquistata dal suo presidente Achille Minozzi. Il dipinto, impostato secondo un taglio orizzontale che suggerisce quiete e attesa, presenta barche e zattere alla banchina nell'ora serale. Dello stesso periodo e di affine sensibilità è “Sera”, custodito dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, in cui delle baracche di pescatori sono avvolte dalle ombre crepuscolari.
Negli anni immediatamente precedenti e successivi alla prima guerra mondiale partecipa sporadicamente a esposizioni collettive di interesse nazionale, nel 1921 espone quattro dipinti alla prima ed unica edizione della Biennale Nazionale di Napoli. Al 1924 risale la sua prima partecipazione alla XIV Biennale di Venezia, dove presenta il dipinto intitolato “Sera a Pozzuoli”, oggi nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Ma ora gli interessi dell'artista si rivolgono prevalentemente alla critica; conosce Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo, che gli accordano la loro protezione e amicizia; nel 1924 pubblica, per Laterza di Bari, il volume “Gioacchino Toma - Il colore in pittura”. Il saggio, che riscuote un certo successo editoriale e l'apprezzamento di storici e critici d'arte, tende a rivalutare la figura del pittore ottocentesco. Il Guardascione volge in senso positivo le critiche che nei decenni precedenti hanno decretato un declino critico della figura di Toma e tra queste, in primo luogo, quella relativa alla sua sobrietà cromatica, che ne fa un pittore atipico e contestato dell'ottocento napoletano. Ezechiele individua nel frequente ricorso ai toni di grigio da parte di Toma non già una lacuna nell'uso del colore, quanto piuttosto l'efficace espressione di ambientazioni intime e di stati d'animo sommessi.
Tra coloro che si interessano al saggio di Guardascione spicca Ugo Ojetti, con il quale intrattiene, a partire da questa data, una lunga corrispondenza. Il carteggio inedito (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna, Archivio storico, Fondo Ojetti) evidenzia la profonda ammirazione di Guardascione per il celebre critico e la costante ricerca della sua approvazione.
Nel 1927 Guardascione redige per l'Enciclopedia Italiana, su commissione di Ojetti, la voce biografica sul pittore Costanzo Angelini; nell'anno successivo, traendo spunto da una riflessione sugli scritti di Ojetti e dagli scambi epistolari con quest'ultimo, Ezechiele pubblica un articolo fortemente critico sull'opera di Vincenzo Gemito.
Il breve saggio, apparso sul secondo numero della Rivista di Cultura, suscita nell'ambiente artistico napoletano delle vivaci proteste, culminate nella richiesta, da parte della Federazione Provinciale dell'Artigianato, di estromettere Guardascione dalla Biennale di Venezia, dove è stato selezionato quell'anno con un quadro intitolato “Castello e barche”. Nello studio su Gemito Guardascione intende ridimensionare la figura dell'artista nel momento della sua massima celebrità, pur riconoscendone la felicità degli esiti nei ritratti di popolane e in talune sculture; in particolare Guardascione, uomo antiretorico e spregiatore dell'ipocrisia in arte, ritiene sopravvalutate le doti di Gemito quale disegnatore, così come le famose superfici materiche delle sue sculture. A una lettura odierna il saggio pressoché dimenticato del Guardascione appare frutto di un punto di vista originale e coraggioso per il tempo in cui vede la luce, oltreché godibile sotto il profilo letterario per il lessico ricco e avvincente. L'eco del contenuto dell'articolo deve essere stato grande se in una lettera a Ojetti del 12 aprile 1928 Guardascione afferma essere andato a Roma da Cipriano Efisio Oppo, direttore della Quadriennale di Roma, e da Margherita Sarfatti per trovare protezione dopo le polemiche sorte dalla pubblicazione del saggio. La partecipazione alla Biennale del 1928, oltre a essere coronata dalla vendita del dipinto esposto, acquistato da Attilio Piscitelli così come attestato dalla lettera che Guardascione scrive a Ojetti ringraziandolo per le belle parole di recensione, vede il pittore impegnato al fianco di Ojetti nella selezione dei dipinti napoletani del XIX secolo, per la mostra sulla pittura ottocentesca italiana che vi si tiene.
Particolare e degna di nota, negli anni venti e trenta, la sua attività di scenografo e decoratore di saloni secondo un gusto neobarocco.
A Napoli dipinge le sovrapporte del caffè Gambrinus con paesaggi e affresca con scene capresi d'ispirazione settecentesca il vestibolo della Banca Commerciale Italiana nello storico Palazzo Zevallos Stigliano. Sue sarebbero le perdute decorazioni dell'Hotel des Palmes di Palermo, delle Terme di Fiuggi e del Palace Hotel di Roma.
Nel contempo la sua produzione pittorica, in cui i paesaggi del golfo di Napoli sono soggetto quasi esclusivo, sono ora presentati con una tavolozza rischiarata e con inquadrature rese con una pennellata veloce e liquida.
Tra i suoi allievi di questo periodo troviamo il pittore Luigi Bellini (1912-1989), uno degli ultimi artisti della Scuola di Posillipo.
Convinto fascista, nel corso degli anni trenta, Guardascione riveste un importante ruolo culturale attivandosi per iniziative a favore dell'Opera Nazionale fascista e scrivendo su riviste vicine al partito. Tra il 1934 e il 1935 firma alcune pagine critiche di rilevante interesse storico, tra cui un violento attacco all'arte novecentista colpevole di spacciare per originalità istanze di stile e di contenuto già appartenute a precedenti movimenti e già risolte storicamente. Queste appaiano nella rivista guidata da Giovanni Preziosi, ”La vita italiana”, e tra esse ricordiamo “Quale sarà la pittura del Novecento?”  del giugno 1934; “Il palazzo del littorio” del dicembre 1934; “La II quadriennale d'arte”  del marzo 1935.
Guardascione è uomo eclettico e incline al cambiamento. Si diletta di poesia e raccoglie un'importante collezione di statuine settecentesche da presepe con la quale allestisce presepi scenografici a scopo benefico per le opere assistenziali del partito; a Milano nel 1930 e nel 1934 quindi presso i Mercati Traianei a Roma (1931 e 1936) e ancora a Bari (1938), riscuotendo un grandissimo successo. Nel 1934 pubblica a Napoli un piccolo libro dal titolo “Il presepe” dal quale riprendiamo:
 “La costruzione del presepe napoletano non dipendeva sempre dalla volontà o dalla sensibilità dell’ artista. Molte volte questa libertà veniva troncata, o mutata, perché interveniva spesso il proprietario e i suoi capricci. Interveniva la moglie, intervenivano i figli e si aggiungevano le più strane e buffe particolarità. Qualche volta il divino pargoletto nasceva ai piedi del Vesuvio in eruzione e, sullo sfondo, attraverso gole di montagne simili a masse di lava raffreddata, si scorgeva la linea del Vulcano, dalla cui sommità, con un gioco di luce rossastra, scorreva la terribile e prepotente lava. E così molte volte anche le stagioni erano capovolte. Dal dicembre si passava con un gioco magico alla primavera; case con tetti ricoperti di neve, accanto ad altre, sui cui ampi loggiati infiorati e ombreggiati da pergole fiorite, al suono di nacchere a tamburelli, si ballava la tarantella.”
Ezechiele sfrutta queste manifestazioni di richiamo per promuovere la sua pittura; nel 1936 espone alcuni paesaggi a Milano, presentato da Elena Somarè, presso la Casa d'Artisti, mostra che gli vale l'acquisto di due dipinti da parte del Museo Civico d'Arte Moderna; nel 1938 vi è una sua personale anche a Bari.
Riporta Curzio Malaparte, in un ritratto del Guardascione tratteggiato nel “Corriere della Sera”, che il pittore realizza un grandissimo telone decorativo (m 20×20) per la Triennale d'Oltremare tenutasi a Napoli nel 1940, dove raffigura "una prospettiva marina, con navi, e moli, e torri, e monti a picco e nuvole", secondo i temi a lui congeniali e con una tavolozza delicata di verdi e azzurri. L'opera, perduta, è forse l'ultimo grande impegno pittorico di Guardascione, che nel 1943 scrive per l'editore fiorentino Sansoni, con prefazione di Alfredo Gargiulo,  il volume “Napoli pittorica. Ricordi d'arte e di vita”, in cui raccoglie memorie autobiografiche e alcuni articoli, già apparsi in varie riviste, sull'ottocento pittorico napoletano; epoca che egli ritiene di massima gloria artistica. Libro interessante, da leggere tutto d’un fiato, con gustose note di vita puteolana. Amedeo Maiuri, nella prefazione al suo saggio sulla “Cena di Trimalchione”, riferisce che le figure della Cena, scritta da Petronio Arbitro, sono identiche ai personaggi napoletani descritti nelle saporose e colorite pagine del libro di Ezechiele Guardascione. Afferma che c’è molta affinità, nonostante i duemila anni trascorsi, e che dopo tutto la graeca urbs è Pozzuoli e non Napoli; continua con la constatazione che Ezechiele del resto è, prima d’essere napoletano, puteolano.

Personaggio stravagante, benevolmente definito Ingordo Autodidatta da Gianni Race, Guardascione è una figura ancora da indagare; la causa principale del disinteresse storiografico e critico è da ricercare verosimilmente nella sua compromettente e piena adesione al fascismo.
Muore a Napoli il 23 novembre 1948 e questo comune dedica alla sua memoria una piazzetta di Ponticelli, già detta di San Rocco, situata sul retro dell’ospedale “Villa Betania”.
 
Bibliografia
Maura Picciau – Ezechiele Guardascione - Dizionario Biografico degli Italiani
Gianni Race – Pozzuoli, storia, tradizioni e immagini
Lucia Lopriore – I duchi di Sangro, storia della famiglia
Gennaro Chiocca – Collezione privata

 Pozzuoli Magazine del 6 aprile 2013

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