lunedì 14 dicembre 2015

Lucrino Beach


Lucrino Beach
Sbarchi saraceni, borbonici, italiani, americani

Le morbide, azzurre e calde acque che vanno da punta Bambinella ad Arco Felice fino alle Stufe di Nerone di Lucrino sono state testimoni di famosi insediamenti balneari ospitati sulle altrettante mitiche spiagge.
Basti ricordare gli storici Lidi Raja, Punzo, Virgilio, Fortuna, Favorita, Vittoria, Ideale, Napoli Centrale, Napoli Stufe; trasformati e poi riuniti nei grandiosi Lido Augusto e Lido Napoli.

Queste stesse spiagge [1] sono state oggetto di sbarchi effettuati da saraceni che si spingono fin qui per saccheggiare le vicine località flegree e per approvvigionarsi d’acqua presso un vecchio acquedotto campano. I pirati vi giungono seguendo una particolare rotta che sfrutta esistenti coni d’ombra nel raggio di tiro dei cannoni piazzati ai castelli di Baia e di Pozzuoli.
Queste stesse spiagge sono poi spettatrici di storiche esercitazioni anfibie effettuate nel tempo da borboni, da italiani, da americani.
  
Ferdinando II di Borbone sale al trono in giovane età, appena 20 anni, ma, consapevole dei problemi politici del regno, compie numerose scelte strategiche sia in campo civile che militare. Dotato di notevoli competenze stabilisce nuovi organici per i corpi di fanteria e cavalleria, ne riordina i comandi ed approva un regolamento che fissa i ruoli di ufficiali e sottufficiali e loro criteri di promozione. Questa e altre riforme fanno, in meno di un decennio, dell'Esercito uno strumento adeguatamente efficiente e moderno, adatto alle esigenze nazionali e internazionali.

Nel 1847 Re Ferdinando pensa di fare un simulacro di guerra, per istruzione delle sue truppe, e sceglie Pozzuoli per campo di battaglia. Il piano è quello di sbarcare nei pressi di questa cittadina, prenderla d’assedio, e marciare poi verso Napoli.
Partecipano alle operazioni circa ventimila soldati, di cui una metà è disposta lungo la costa, da Napoli a Pozzuoli, e l'altra metà imbarcata su battelli a vapore. L'armata di terra è comandata dal generale Filangieri, quella di mare dal Re e dal fratello il conte d'Aquila.

Cominciato l'attacco Ferdinando II tenta di sbarcare a Bagnoli ma accortosi delle forze nemiche, colà pronte ad attenderlo, prende a cannoneggiarle per tutto il litorale e fa dirigere i piroscafi verso Pozzuoli. Il colpo riesce vano perché Filangieri, in previsione di tale movimento, ha fortificato e munito di artiglierie le alture da Montedolce a Pozzuoli, impedendone lo sbarco.
Allora il Re, fingendo di voler concentrare a Baia il suo corpo d'armata, scende a terra con le truppe sulla spiaggia ai piedi di Montenuovo. Però, invece di muovere per Baia, prende la via litoranea per Pozzuoli, vecchia via Erculea ora denominata Miliscola. Nel contempo il conte d'Aquila prende la via della collina superiore, vecchia via Domitiana ora denominata Luciano, con l’intento di stringere Pozzuoli da ambo i lati [2].

Il generale Filangieri, avvedutosi a tempo della diversione delle truppe regie e dell'imminente pericolo di un assalto alla città, con una strategia bene immaginata, comanda alle sue truppe di retrocedere davanti al nemico con finto fuoco di ritirata. Dopo di aver permesso al Re ed alla sua soldatesca, già sicuri della vittoria, di giungere all'abitato fin verso il palazzo Pollio, piomba loro addosso con la truppa nascosta in tre postazioni strategiche. Ovvero nei pressi del tempio di Serapide, luogo che gli permette di arrestare sulla fronte le truppe guidate dal Re; nella Masseria alla Starza, da poco acquistata dal nobile Francesco Ferraro, luogo che gli permette di aggirare il nemico dal retro; sulla collina di San Francesco, cosa che gli permette di separare le truppe guidate dal conte d’Aquila; praticamente li circonda da ogni parte e li fa tutti prigionieri.

Sull’imbrunire Ferdinando II, circondato dal suo Stato maggiore, fa riunire tutte le fanfare in piazza della Malva, quella che oggi costituisce un giardino pubblico, ed ivi, al tocco dell’Ave Maria e scoprendosi il capo, ordina che al suono delle musiche tutte le truppe rendano in ginocchio ringraziamento a Dio della giornata trascorsa.
In tal modo finisce la così detta “Guerra finta”, di cui rimane viva la memoria a Pozzuoli; la sconfitta del Re, per molti giorni, sarà oggetto di commenti ironici.
  
Per assistere ad altre operazioni anfibie su questa spiaggia bisogna attendere il 1904, lo stesso anno in cui il giovane avvocato Guido Ferraro, nipote del citato Francesco e papà dell’ammiraglio Renato, veleggia per questi lidi sulla sua “Zizià” [3].

Nel settembre iniziano le grandiosi “Manovre Combinate fra Esercito e Marina”.
L’esigenza di questa esercitazione nasce dalle possibili conseguenze derivanti dall’adesione italiana alla Triplice Alleanza.

Con questa coalizione, firmata nel 1882, si materializza il pericolo di una aggressione da parte della Francia; non tanto dal confine alpino sul quale è previsto un comportamento difensivo sia italiano che francese, ma da un probabile grande sbarco nell’Italia meridionale che possa rendere il nemico padrone di Napoli. Ipotesi suffragata dal nostro addetto militare a Parigi che nel giugno del 1883 informa che gli ufficiali francesi della Scuola di guerra studiano il tema di un’offensiva anfibia contro l’Italia meridionale; in particolare nella zona di Napoli.
Su tale presupposto Esercito e Marina conducono, negli anni immediatamente successivi, le loro manovre a partiti contrapposti. La Marina suppone che la squadra sia bloccata nella base di Spezia dalla più potente flotta nemica, ma che una divisione, dislocata a Gaeta, riesca a intervenire contro la scorta al convoglio francese impegnandola all’altezza di Fiumicino; entrambe le forze navali subiscono gravi danni, però gli attaccanti raggiungono egualmente il golfo di Pozzuoli sbarcandovi due corpi d’armata, più una divisione sulla spiaggia del Lago Patria.

In seguito, per sopperire alle deficienze dimostrate nel corso di dette esercitazioni e migliorare le azioni difensive da mettere in atto, si arriva alle manovre combinate tra Esercito e Marina del 1904.
Queste iniziano il 1 settembre con un piano elaborato dal Capo di Stato Maggiore generale Saletta. Si presuppone che la flotta avversaria abbia ridotto all’impotenza la flotta nazionale e stia programmando uno sbarco sulla costa tra i Gaeta e Punta Licosa con naturale obiettivo la citta di Napoli. Il X Corpo d’Armata, preposto alla difesa della Campania, rafforzato da una brigata di milizia territoriale, tenterà di opporsi allo sbarco attendendo rinforzi e il ritorno della Regia Marina.

I difensori, ovvero il partito azzurro comandato dal tenente generale Tarditi già comandante della divisione di Napoli, dispongono di tre brigate di fanteria (Abruzzi, Casale, Reggio), una brigata di milizia territoriale con tre reggimenti, il 6° reggimento di cavalleria Aosta, tre batterie da 87mm del 1° reggimento di artiglieria, una compagnia telegrafisti del 3° genio, una congrua aliquota di servizi di sanità e commissariato, oltre a reparti di Carabinieri e Guardia di Finanza in servizio locale e costiero. La difesa del litorale, al comando del capitano di fregata Bollati di Saint-Pierre, è affidata ai due incrociatori torpedinieri Agordat e Coatit con due squadriglie di sei torpediniere ciascuna.
Gli attaccanti, ovvero il partito rosso comandato dal tenente generale Radicati già comandante la divisione di Salerno, dispongono della brigata di fanteria Salerno, un battaglione dell’8° reggimento bersaglieri, tre squadroni del 11° reggimento di cavalleria Foggia, due batterie da 75mm del 24° reggimento artiglieria, una compagnia zappatori del 1° reggimento genio, congrue aliquote di servizi di sanità e sussistenza.
Per il trasporto delle truppe sono utilizzati dieci piroscafi noleggiati dalla Navigazione Generale, tre corazzate, due incrociatori, due squadriglie di cacciatorpediniere una di torpediniere; il tutto al comando dell’ammiraglio Carlo Leone Reynaudi.
Direttore delle manovre è il generale Tommaso Valles, già comandante del X corpo dell’esercito; capo dei giudici di campo è il generale Allasom. Dalle colline che circondano Pozzuoli, e tutti muniti di binocolo, assistono alle manovre il ministro della guerra Ettore Pedotti, il tenente generale Gallina, l’ammiraglio Augusto Aubry e tantissimi alti ufficiali. Tra gli osservatori stranieri si notano il generale Stoessel, il generale Smirnow, l’ammiraglio Witheffe il principe ereditario Guglielmo di Germania con la sua fidanzata.
L’imbarco delle truppe è eseguito a Napoli nella mattinata del 1 settembre sotto un cielo minaccioso [4-5]. 


Alle 16.00 è dato l’ordine di partenza, in direzione Ponza, dall’incrociatore Carlo Alberto ed i priroscafi mettono il segnale “Q” (che vuol dire pronto) all’albero di trinchetto. I priroscafi si dispongono su due linee; a destra l’Orione, il Manila, il Marco Minghetti, il Po e l’Entella. A sinistra il Montebello, il Vincenzo Florio, lo Scrivia, il Solferino e il Singapore. Alla testa l’ammiraglia incrociatore Carlo Alberto, preceduta da tre torpediniere e seguita dalle corazzate Emanuele Filiberto e Saint-Bon; su ognuno dei due lati del convoglio una squadriglia di quattro cacciatorpediniere; in retroguardia gli incrociatori Varese e Garibaldi [6] con, ad estrema retroguardia, altre tre torpediniere della stessa squadriglia di testa.

Per tutto il giorno 2 il convoglio naviga attorno alle isole ponziane e gli invasori fingono anche di tentare uno sbarco nei pressi di Gaeta, per deviare l’attenzione dei difensori. Poi a tutto vapore si dirigono su Napoli quando nelle prime ore del giorno 3, all’altezza dell’isola di Capri, contro i piroscafi trasportanti la truppa [7] si lancaino gli incrociatori Coatit e Agordat con le torpediniere di difesa. Ma le navi della squadra di offesa, dopo vivo ed audace cannoggiamento le mettono fuori combattimento. Solo una torpediniera della difesa, girando velocemente da Ischia, riesce a silurare la Montebello che si trova più indietro. In suo aiuto accorre nave Garibaldi, ma la torpediniera riesce a sottrarsi ai suoi tiri.

Alle 6.30 le torpediniere battute dalla squadra che protegge le navi da sbarco vanno a rifugiarsi nel porto di Pozzuoli nel mentre verso Capo Miseno si ode un forte cannonnegiamento. Sono le torpediniere del corpo attaccante che avanzano in avanscoperta seguite dalla squadra in ordine di battaglia; corazzate, incrociatori e caccia torpediniere circondano i piroscafi carichi di truppa.
A 1500 metri dalla costa le navi bombardano le colline ove sono apparse le milizie territoriali addette alla difesa della costa e dislocate a Pozzuoli la sera del 2 settembre.
I piroscafi entrano nel magnifico specchio d’acqua di Baia, circondato dalle ridenti colline di Montenuovo, Barbaro, Campiglione e dai poggi che coronano la punta dell’Epitaffio. Il sito è incantevole e la giornata è splendida. Le torpediniere fanno evoluzioni intorno alle navi e bombardano la costa per tenerla sgombra. I dieci priroscafi con le truppe si dispongono lungo la costa, che dai ruderi del tempio di Venere va fino alle vicinanze di Pozzuoli, di fronte al Lago Lucrino.
I piroscafi al largo sono protetti dalle navi da guerra che restano oltre la linea delle boe di verifica bussole; queste boe, unitamente ad una torretta segnaletica (conosciuta come “Torre di Pulcinella”) costruita su ruderi romani sommersi, da tempo sono utilizzate da navi della Regia Marina per la verifica e rettifica delle bussole di bordo.
Una corazzata, la Emanuele Filiberto, è all’altezza di Bagnoli, per sorvegliare i movimenti della squadra nemica. Intanto la milizia territoriale del corpo di difesa si avvicina a Montenuovo. Dalle torpediniere si procede ad un vivo cannonneggiamento che costringe il nemico a ritirarsi.

Alle 7,15 incominciano le operazioni di sbarco, dalle navi e dai piroscafi sono calate in mare tutte le imbarcazioni disponibili dentro le quali prendono posto le truppe. Le imbarcazioni, a due, a tre alla volta, sono rimorchiate da lance a vapore.
La prima a scendere a terra è la compagnia di sbarco della nave Saint-Bon [8], 

agli ordini del tenente di vascello Durazzo, con tre ufficiali in completa tenuta di guerra. In tale momento il cielo si oscura lasciando cadere una pioggia che dura oltre un quarto d’ora. Le imbarcazioni, sotto la pioggia, si accostano alla riva sotto Montenuovo; i marinai per fare più presto a scendere entrano nell’acqua fino alle ginocchia.
A misura che le compagnie di sbarco giungono a terra, parte dei marinai sono mandati in perlustrazione verso Baia e verso Pozzuoli; un’altra compagnia va in perlustrazione su Monte Barbaro e Campiglione.
Il resto si affretta a costruire un piccolo pontile per facilitare lo sbarco delle truppe [9], 

ed a piantare bandiere rosse e gialle per indicare il punto di sbarco alle rispettive navi.
Dopo i marinai scendono a terra i reparti del genio col materiale dei pontili di sbarco, subito costruiti, e alle 8,45 iniziano a scendere quattro compagnie di bersaglieri trasportate da 13 baleniere rimorchiate [10].

Frattanto il tempo si rasserena e dal colle di Montenuovo un piccolo distaccamento della milizia territoriale, che si è tenuto nascosto in una piccola frangia naturale di sassi, inizia un vivissimo fuoco di fucileria contro i bersaglieri.
Subito la corazzata Saint-Bon lancia contro Montenuovo tre cannonate e il piccolo distaccamento si ritira di corsa. Poco dopo i bersaglieri ed i marinai occupano la collina.
Alle 10.30 sbarcano i soldati del 89° e 90° reggimento fanteria, brigata Salerno [11]; i marinai ed i genieri sgomberano subito per facilitare lo sbarco.

Alle 11.00 dalle navi da guerra cominciano a scendere piccoli cannoni da sbarco belli e montati a mezzo dei zatteroni che trasportano quattro pezzi alla volta. Poi i cavalli anch’essi trasportati a riva dai zatteroni sui quali si trovano due marinai; questi coi remi dirigono la rotta ed in prossimità della spiaggia ricevono da terra un ponte cha facilità l’approdo.
Sulla spiaggia funziona un semaforo improvvisato dall’equipaggio dall’ammiraglia Carlo Alberto [12] 

ed intanto altri marinai seminano delle mine che scoppiano con fragore.
Tutte le truppe, a misura che sbarcano, dopo essersi ricomposte per compagnie, si dirigono sulle colline ad est del Lago Lucrino. Le compagnie di sbarco dei bersaglieri e della fanteria occupano Monte Russo e Monte Ruscello; la cavalleria i dintorni del Lago Averno [13]; 

l’obiettivo della fanteria è di raggiungere la Montagna Spaccata, dove gli avamposti sono quasi a contatto, e poi Napoli.
Le operazioni di sbarco continuano; alle 17.30 sbarca l’artiglieria [14], 

alle 19.30 i carriaggi [15] 

ed a mezzanotte la sussistenza [16]; molti soldati custodiscono le vie principali con l’ordine di non lasciar passare nessuno.

Intanto il partito azzurro, che ha le sue forze dislocate tra Qualiano e Giugliano, suppone di dover avanzare verso Torregaveta perché una finta notturna lo ha persuaso che lo sbarco sarebbe avvenuto là.
In realtà lo sbarco sarebbe avvenuto laggiù se all’alba del giorno 2 le cattivissime condizioni del mare, molto mosso, non lo avessero reso arduo.
Solo alle 7.30 del giorno 3, un telegramma ricevuto da Pozzuoli, rivela che lo sbarco sta avvenendo fra Baia e Pozzuoli. Allora il partito azzurro dispone il concentramento a Qualiano e, verso le 8.30, invia l’intero reggimento di cavalleria Aosta verso la Montagna Spaccata sparpagliandolo in varie direzioni per rassicurare la brigata Casale che pure avanza verso il mare.
Gli attaccanti marciano in senso inverso sulla stessa linea e i contendenti vengono a contatto proprio nei pressi della Montagna Spaccata [17]; 

qui due compagnie di difesa respingono un battaglione di bersaglieri assalitori.
In un altro breve combattimento agli Astroni gli sbarcati, che non hanno cavalleria e artiglieria da mettere avanti, sono respinti. Nel pomeriggio la manovra cessa mantenendo ognuno le proprie posizioni; ovvero i difensori il Piano di Quarto e gli assalitori le alture già indicate e precedentemente occupate [18].

Il giorno 4 i difensori si trovano ad avere la brigata Abruzzi, formata dai reggimenti 57° e 58°, schierata tra Monteruscello e Montagna Spaccata; la brigata Casale, formata dai reggimenti 11° e 12°, tra Montagna Spaccata e Camaldoli; e la brigata Reggio, formata dai reggimenti 45° e 46°, di riserva nella zona di Marano; oltre a bersaglieri e milizie territoriali sparse nelle zone limitrofe ai Campi Flegrei.
Il lunedì 5 il direttore generale delle manovre prende nota del seguente dispositivo dei due contendenti che cercano di trincerare le posizioni già occupate e di rafforzarsi portando in prima linea truppe ed artiglierie [19]:

Gli attaccanti, con la tattica precedente, si sono assicurati il possesso dell’importante linea delle alture di Monte Barbaro, Monte Cigliano e Astroni. Da informazioni che hanno assunto risulta che Napoli, salvo pochi reparti costieri, sia sguarnita di truppe; pertanto spingono in quella direzione.
I difensori sono interessati a trattenere il più a lungo possibile il nemico in attesa di rinforzi. Il loro comandante ritiene che se saranno costretti a ritirarsi le sue truppe dirigeranno verso il Volturno e cercheranno di raggiungere la cittadella fortificata di Capua.

Gli attaccanti ottengono rinforzi tali da pareggiare nel numero le forze avversarie ed iniziano ad esercitare una pressione offensiva anche sulla loro sinistra, dove fronteggiano la brigata Abruzzi, ed il giorno 6 riescono ad avanzare fino ad occupare Giugliano e Marano. Si spingono fino a Pantano e Casal di Principe e fanno retrocedere il nemico oltre il Volturno in direzione di Aversa e Caserta.
Il giorno 8 settembre, Festa di Piedigrotta, i combattimenti osservano la consolidata pausa [20] e riprendono il giorno dopo per poi terminare la sera del giorno 10 quando i giudici impongono la cessazione delle esercitazioni.

Passano circa quarant’anni e nella prima metà di dicembre 1943 arrivano a Pozzuoli i Rangers americani del 1°, 3° e 4° battaglione. Hanno duramente combattuto nel fango sul fronte di Cassino, nella zona di San Pietro Infine, subendo perdite pari al quaranta per cento degli effettivi. I soldati piantano le loro tende a Lucrino [21] 

e gli ufficiali si insediano nell’albergo “Sibilla” che viene ribattezzato “Hotel Washington”. Nonostante sia già pieno inverno i soldati americani così ricordano questa località. “Lucrino con le sue morbide acque azzurre e sole caldo, in netto contrasto con la fredda e triste umidità di Monte Corno.
Per il Natale è con loro anche Padre Albert Edward Basil, leggendaria figura di cappellano militare cattolico. I rangers organizzano balli, serate cinematografiche e spettacoli durante i quali ricevono la visita della cantante scozzese “Ella Logan” che diventa la loro mascotte.
I Rangers, comandati dal colonnello William Darby, sono destinati a costituire la “punta di diamante” del previsto sbarco ad Anzio; pertanto si addestrano su queste spiagge [22-23] 


e su quelle di Cuma molto simili a quelle sulle quali, partendo da Pozzuoli, sbarcheranno il 22 gennaio.
Proprio a Pozzuoli, e mentre si imbarcano sulla Princess Beatrix, la Winchester Castle, la Royal Ulstream e tre LST con destinazione le spiagge di Anzio, cantano:

I'm a good infantryman
With the rifle on his shoulder
I eat for breakfast crauto
Come give me my ammunition
Keep me in the third division
I'm a good infantryman

Sono un bravo fantaccino
Col fucile sulla spalla
Mangio crauto a colazione
Orsù datemi la mia munizione
Tenetemi nella terza divisione
Sono un bravo fantaccino

La canzone piace molto a Lucian Truscott, comandante la 3° divisione di cui i rangers fanno parte; molto meno al colonnello Darby che commenta “sono convinti che saranno rose e fiori, ma io credo di no.”
Purtroppo ha ragione, per il 1° ed il 3° battaglione sarà un brutto incontro quello con i carri Tigre tedeschi a Cisterna; solo sei rangers su 761 tornano indietro, gli altri cadono o sono catturati.


BIBLIOGRAFIA
Simon Pocock – Campania 1943 - 2009
Raffaele de Cesare- La fine di un Regno (Napoli e Sicilia) – 1900
Mariano Gabriele – Il fantasma dello sbarco – SISM
AA.VV – L’Illustrazione Italiana n. 37 – 1904
Ian Westwell – US Rangers – 2003
F.Cappellano P.Formiconi – Esercitazioni anfibie R.E. del 1904 – S.M. 2015 

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