mercoledì 11 maggio 2016

I Bunker di Cuma


I BUNKER DI CUMA
Un Caposaldo di Contenimento della Difesa Costiera

Quando l’Italia entra in guerra, il 10 giugno 1940, solo una piccola percentuale delle sue coste, in particolare quelle vicine alle basi navali, è attrezzata per rintuzzare eventuali offese o sbarchi provenienti dal mare.
La difesa delle piazzeforti è affidata ad una specialità della M.V.S.N., la “Milizia Marittima di Artiglieria” meglio conosciuta con la sua sigla telegrafica, MILMART [1]; in questo compito è coadiuvata da Carabinieri e Finanzieri.

Ma nell’ottobre 1941 il Regio Esercito stila il documento fondamentale per la "Difesa delle frontiere marittime" che sintetizza i principi e le attività relative alla difesa costiera. L'indicazione basilare è quella dell'integrazione tra difese fisse e mobili per "impedire lo sbarco di forze avversarie - catturare, distruggere o ributtare a mare le forze riuscite a sbarcare" ed a tale scopo vengono brevemente descritti non solo i criteri di impiego delle truppe ma anche le tipologie delle fortificazioni da costruire.


FORTIFICAZIONI COSTIERE
POSTI DI OSSERVAZIONE COSTIERA (P.O.C.).
Sono composti da strutture singole spesso di "riciclo", come antiche torri, che vengono riutilizzate per l'avvistamento delle forze nemiche provenienti dal mare. I P.O.C. sono generalmente presidiati da un piccolo gruppo di soldati dotati di armi leggere e dei mezzi necessari per trasmettere l'allarme ai comandi superiori [2].  


CAPOSALDI DI CONTENIMENTO COSTIERO (C.C.C.).
Sono composti da più strutture, in cemento armato, unite tra loro in modo da formare un unico campo trincerato e fortificato ed hanno il compito di impedire lo sbarco del nemico. Sono dotati di una grande varietà di armi che comprendono artiglierie antinavi a lunga gittata; artiglierie di medio calibro da utilizzare contro mezzi da sbarco o corazzati; armi automatiche atte a spazzare la spiaggia dopo un eventuale sbarco [3].


POSTI DI BLOCCO COSTIERO (P.B.C.).
Sono composti da semplici ostacoli e strutture che hanno la funzione di rallentare l'eventuale penetrazione del nemico. Sono posti lungo le vie di comunicazione, che dalle coste portano verso l'interno, e dispongono di poche postazioni e centri di fuoco [4].   


CAPOSALDI DI SBARRAMENTO COSTIERO (C.S.C.).
Sono composti da più strutture e postazioni vicine ma non sempre tra loro collegate; hanno il compito di impedire la penetrazione del nemico verso l'interno del territorio dopo lo sbarco. Spesso sono camuffate come civili abitazioni; sono dotate di armi controcarro e generalmente si trovano lungo importanti snodi stradali e ferroviari [5].



REPARTI COSTIERI
Per presidiare tutte queste strutture e le coste sono costituiti appositi “Reggimenti di Fanteria Costiera” e “Raggruppamenti di Artiglieria Costiera” riuniti inizialmente in grandi unità nominate “Settori Costieri” trasformati poi in “Brigate Costiere” ed infine, per dilatazione, in “Divisioni Costiere”.
La formazione ed il numero di queste unità italiane nel corso del secondo conflitto mondiale costituisce un problema alquanto complesso, stante la totale mancanza di omogeneità nelle tabelle e nell'organizzazione dei reparti. Sono assemblate alla meglio con strutture improvvisate, e inquadrano battaglioni Territoriali, battaglioni della Milizia e truppe dei Depositi; comunque personale anziano o stanco per anni terribili trascorsi al fronte.
La cavalleria arriva a destinare alla difesa costiera la maggior parte dei suoi quaranta gruppi appiedati e si giunge persino a creare reparti di alpini costieri per operare su coste accidentate. In genere il battaglione costiero è una unità eterogenea, costituito su due compagnie di fucilieri e due di mitraglieri. Le armi automatiche in dotazione sono 24 mitragliatrici e 24 fucili mitragliatori; spesso inquadrano anche compagnie di mortai e di pezzi controcarro, ma sempre materiale non standardizzato e non utilizzato in prima linea; perché di preda bellica o di seconda scelta.
Non esiste nessun nesso numerico tra divisione e reggimenti assegnati e tutte sono legate strettamente al territorio da presidiare. In genere il loro parco mezzi e trasporti è inesistente; praticamente sono prive di mobilità. Spesso vengono aggregate "unità anti-paracadutisti" su 2 squadre di fanteria con 1 bicicletta per squadra come mezzo. Tutti questi reparti dovrebbero reggere il primo impatto con il nemico in attesa dell'arrivo delle unità di manovra tenute di riserva più all'interno.

In Campania opera, dal 1941, il XIX Corpo d’Armata al cui comando si trova il generale Riccardo Pentimalli con sede a Curti, in provincia di Caserta. Questo Corpo dipende dalla 6° Armata, che ha sede a Cava dei Tirreni, e con giurisdizione su tutto il Sud Italia, Sicilia e Sardegna. Nella primavera del 1942, i comandi con competenza costiera nel territorio metropolitano subiscono alcuni cambiamenti e il fabbisogno di truppe da impiegare nelle posizioni cresce di giorno in giorno. Ai primi del 1943 la difesa del Sud Italia è poi assegnata alla 7° Armata con sede a Potenza al comando del Generale Mario Arisio; così la 6° Armata, ovvero il suo “comando”, passa in Sicilia per l’accresciuta importanza di quel settore.
Dal XIX Corpo d’Armata (da Gaeta all’aera di Salerno [6], come giustamente riporta un segreto documento americano) dipendono:


LA “XXXII BRIGATA COSTIERA”.
Comandata dal generale Carlo Fantoni con sede a Villa Literno, che controlla il tratto di costa nord della Campania dal Garigliano alla Foce di Licola. E’ questa una delle poche Brigate ancora in attesa d’essere trasformata in “Divisione Costiera”.

LA “DIFESA PORTO DI NAPOLI”.
Comandata dal generale Ettore Marino con sede a Castel Sant’Elmo, che controlla il tratto di costa dalla Foce di Licola a Capo d’Orso di Vietri sul Mare. Questa grande unità, pur avendo la forza e l’organico superiore ad una “Divisione Costiera”, resta con questa definizione per la particolarità del settore che si trova a difendere.

LA “222° DIVISIONE COSTIERA”.
Comandata dal generale Ferrante Gonzaga che sarà trucidato dai tedeschi per la resistenza opposta. Questa divisione, con comando a Buccoli, controlla il tratto di costa dal Capo d’Orso di Vietri sul Mare a Castrocucco, al confine tra Basilicata e Calabria. Praticamente l’unico tratto di costa che sarà interessato da uno sbarco alleato; quello dell’otto settembre 1943.

Nelle zone interne della Campania c’è qualche raccogliticcia Divisione, come la 9° Divisione Fanteria “Pasubio” del gen. Carlo Biglino con sede a Grazzanise, in ricostituzione dopo il disastroso rientro dalla Russia; inoltre poche altre truppe campali appartenenti al “Comando Difesa Territoriale di Napoli” posto agli ordini del Gen. Ettore Del Tetto.


CAPOSALDO DI CUMA
COSTRUZIONE
Alla fine del 1942, con il peggioramento della situazione militare ed in previsione di un eventuale sbarco alleato sulla “spiaggia romana” tra Torregaveta e Mondragone, gli alti comandi decidono la trasformazione dell’intero litorale flegreo in zona militare. Dal 1941 i litorali flegreo e domizio sono dotati di rudimentali postazioni, casematte e piazzole, generalmente nelle vicinanze di grandi incroci, passaggi a livello e alture costiere; ma ora, dal settembre 1942, i lavori del genio militare hanno un nuovo impulso con la costruzione di Caposaldi di Contenimento e di Sbarramento.
Anche Cuma ed il suo Acropoli, che fin dallo scoppio della guerra nel 1940, ha attirato l’attenzione dei militari che vi pongono un posto di osservazione per l’avvistamento aereo, viene scelta per la trasformazione in Caposaldo di Contenimento Costiero [7A e B].


In questo contesto Cuma, che la felice posizione e conformazione ne ha fatto una munita roccaforte fin dall’antichità, inizia a diventare una vera e propria fortezza mascherata tra reperti archeologici e boscaglia. Proprio sull’acropoli, ai piedi del tempio di Giove, sono costruite due baracche destinate ad ospitare i primi soldati addetti alla difesa costiera.
In base alle nuove esigenze i lati settentrionali ed occidentali della montagna sono perforati in più punti per fornire una rete labirintica di postazioni di cui molte realizzate scavandole direttamente nella roccia. L’archeologo Maiuri, sovrintendente di Cuma, così scrive: “… ma il peggio è che vogliono piazzare delle batterie incavernandole nella roccia trachitica dell’acropoli volta verso il mare. Si attacca la rupe a colpi di mine; ma la roccia dell’acropoli, per quanto dura e ferrigna, non offre buona presa alle mine per lo scavo delle caverne … Dopo le più vive proteste per quell’inutile massacro, si ricorre alle perforatrici e si riesce a piazzare la batteria con serventi e munizioni.”
Incaricata dei lavori di fortificazione è la 106° Compagnia Lavoratori Zappatori Minatori che, insieme alla 45° Compagnia, è alle dipendenze della Difesa Territoriale di Napoli. A ricordo ci sono varie scritte impresse a cemento fresco da giovani genieri che vi hanno inciso i loro nominativi, le classi, i reparti di appartenenza ed i relativi stemmi [8A e B].


In sintesi al 30 giugno 1943 risultano sei postazioni scavate nella roccia ma ancora non collegate tra loro; anzi si prevede di completare il caposaldo tramite cunicoli di collegamento tra le varie caverne entro ulteriori 80 giorni ma, la fretta costruttiva ed il precipitare degli eventi consiglia di abbandonare i lavori incompiuti.

STRUTTURA
Il rilievo su cui si colloca l’Acropoli di Cuma, e su cui sono di già presenti sia un Posto di Osservazione Lontana della difesa Antiaerea gestita dalla MVSN sia un iniziale Posto di Osservazione Costiera, viene valutato come sito ottimale per un sistema di fortificazioni. Il complesso militare, perfettamente annidato entro il basamento trachitico della rupe, è concepito sul sistema dei “compartimenti stagni”, opportunamente frazionati sul piano orizzontale e su quello verticale. Si ritiene che con la potenza ed il volume di fuoco delle sue armi sarà capace di coprire una vasta area da Torregaveta al Lago Patria. Località queste ultime scelte entrambe per altri due Capisaldi di Contenimento Costiero atti ad impedire eventuali sbarchi di forze anfibie nemiche.
Pertanto viene costituito un vero e proprio campo trincerato composto da più linee fortificate delle quali alcune più leggere sono disposte intorno alle più rilevanti e spettacolari postazioni in caverna. Queste, conosciute come i “Bunker di Cuma”, sono rari esempi nella difesa costiera italiana e danno il senso della strategicità dell’intero caposaldo.

-      Il nucleo centrale di tutto il complesso è composto da una batteria di cannoni situata in caverna, alla quota di circa 22 metri s.l.m., in alloggiamenti blindati e disposta secondo più raggi. Questo “bunker alto” è atto a coprire una vasta area semicircolare del tratto di mare antistante il caposaldo e ad esso è affidato il tiro di sbarramento al fine di contrastare un eventuale sbarco anfibio.
-      A protezione di questa batteria ci sono numerose postazioni per mitragliatrici che si trovano ad una quota più bassa, circa 6 metri s.l.m., sempre annidate entro il basamento trachitico della rupe e leggermente più avanzate. A questi “bunker bassi”, col tiro rapido delle armi automatiche di cui dispongono, è affidato il tiro d’interdizione e quello d’infilata sul tratto di spiaggia che separa la battigia dalle falde del Monte di Cuma. Tiro che deve impedire l’avvicinarsi di truppe nemiche eventualmente sbarcate e contrastare ogni tentativo di espugnazione del nucleo centrale del caposaldo.
-      Alla quota di circa 50 e fino a 60 metri s.l.m., dove la sommità dell’acropoli di Cuma si slarga in un’ampia terrazza, ci sono alcune “piazzole” in cui sono sistemati pezzi di artiglieria atti alla difesa antiaerea del caposaldo. A queste piazzole è affidato il compito di proteggere il caposaldo dalle incursioni che avrebbero senz’altro preceduto e assistito un’operazione anfibia nemica. Vari camminamenti trincerati collegano queste “piazzole” con i posti di osservazione e centrale di tiro e relativi depositi di munizioni; tutti in casematte fortificate. Una rampa sotterranea collega questa quota con i sottostanti “bunker alti”.
-      La zona pianeggiante alla base, tutta intorno al Monte di Cuma, è disseminata di singole e ben mascherate postazioni per mitragliatrici e pezzi anticarro, depositi munizioni e ricoveri fortificati. Linee di trincee parapettate o camminamenti sotterranei mettono in comunicazione queste postazioni tra loro e con i predetti bunkers permettendo ai reparti di muoversi al coperto in un sistema articolato e dissimulato.
-      Nel mezzo di queste postazioni isolate, e per lunghi tratti del litorale, una distesa di campi minati, reticolati, difese anticarro ed altri mezzi assicurano una operosa difesa passiva di tutto il caposaldo.

L’intero complesso, trasformato in una possente piazzaforte costiera, appare ben mimetizzato tra gli elementi naturali del terreno stesso che si equilibrano, in un felice connubio, con le opere fortificate. Si riscontrano buone protezioni contro attacchi aerei, attacchi con gas e contro le intemperie stesse.

Passando ad un esame particolareggiato del primo livello, quello di quota 6 metri, troviamo tre distinti bunker non collegati fra loro. Comunque al loro interno si ritrovano gallerie, non terminate dai genieri, che avrebbero dovuto provvedere a queste connessioni.

PRIMO BUNKER DI QUOTA 6 METRI

Scavato all’estremità nord della parete rocciosa del monte di Cuma, presenta un accesso ribassato rispetto alla quota costante dei tre bunker che esamineremo. Questa entrata si trova entro un camminamento trincerato scoperto che con una svolta si prolunga verso l’entroterra. Come in ogni struttura militare c'è una logica, pertanto l’ingresso è defilato al tiro nemico, sia sul rovescio che sul fianco, e ovviamente le postazioni d'arma tirano sulla spiaggia, di infilata o peggio frontalmente [9].

A metà strada di un corridoio c’è, in alto, un foro a sagoma quadrata di cm. 20x20 in cui può essere inserito un periscopio per l’osservazione del campo esterno. Quindi si arriva ad un vestibolo da dove, con piccola diramazione [10],

si raggiunge una prima postazione di mitragliatrice che tramite feritoia copre il retro di tutto il caposaldo. Da questo stesso vestibolo, tramite una scalinata a larghi gradoni che ripristina la quota dei 6 metri [11], 

si giunge ad un ampio corridoio, sulla cui volta è presente un largo camino che assicura una buona aerazione. Da questo corridoio si addiviene a diverse diramazioni; quelle sulla destra, cioè verso l’esterno, portano a due postazioni di mitragliatrici munite di feritoie e quelle sulla sinistra, cioè verso l’interno e la massa trachitica della roccia, portano a due camere con pareti in roccia viva che hanno destinazione logistica. In ogni postazione è presente un plinto, o basamento circolare, che serve a sostenere il piede posteriore del treppiede della mitragliatrice che su di esso fa perno [12]. 

Sono inoltre presenti parapetti, su cui scorrono le staffe che agevolano il brandeggio dell’arma, nonché incavi sulle pareti in calcestruzzo per riparo delle cassette di munizioni di pronto impiego. Le ultime due postazioni dirigono il fuoco in direzione nord e praticamente coprono il fronte occupato dalla pineta costiera settentrionale.
Tutti i corridoi e vani di combattimento hanno uno spesso rivestimento di calcestruzzo che all’esterno circonda largamente anche le feritoie [13].


SECONDO BUNKER DI QUOTA 6 METRI

Scavato lato mare ed al centro della parete rocciosa del monte di Cuma, presenta un accesso costituito da un cunicolo con volta a tutto sesto [14]. 

Anche il suo corridoio principale presenta tre diramazioni di cui quelle alle estremità conducono a due camere di tiro. Il settore di tiro di queste postazioni è diretto verso ovest e nord-ovest, praticamente verso la spiaggia antistante la rocca di Cuma [15]. 

Alle spalle di ogni postazione ci sono alcuni diaframmi in cemento che servono sia a difendere i serventi dalle schegge di bombe eventualmente lanciate all’interno della postazione sia ad evitare che proiettili, infilando fortuitamente dall’esterno la feritoia, possano raggiungere le munizioni o altro personale in transito lungo il corridoio principale.

La diramazione centrale conduce ad un deposito o ricovero posto lateralmente e scavato ad un livello inferiore [16]. 

Questa camera, caratterizzata dalla mancanza di feritoia, fu minata, dai tedeschi in fuga, ed il conseguente scoppio causò lo squarcio della vicinissima parete esterna, creando una apertura da taluni scambiata per una feritoia [17A e B].



In questo bunker è presente una galleria lunga più di 25 metri, abbandonata dai genieri durante lo scavo e quindi non rivestita in calcestruzzo, in cui esiste un camino di aerazione. Detta galleria potrebbe essere stata progettata per collegare questo bunker con quello precedentemente descritto oppure per un tentativo di addentrarsi nel banco trachitico della rocca.

TERZO BUNKER DI QUOTA 6 METRI

Scavato all’estremità sud della parete rocciosa del monte di Cuma, presenta due vie d’uscita di cui una trincerata e ad andamento semicircolare onde evitare che i tiri dal mare possano colpirla d’infilata [18A e B e C]. 




L’altra è appozzata, cioè dà la possibilità di uscire all’aperto attraverso un camino ad un livello superiore, e comunque volge le spalle al mare per una migliore protezione.
Il corridoio principale di questo bunker presenta tre diramazioni che conducono ad altrettante feritoie vicino ad ognuna delle quali insiste una postazione per mitragliatrice.
Più dietro, come nel precedente bunker, ci sono diaframmi in cemento che servono sia a difendere i serventi, alla mitragliatrice, dalle schegge di bombe eventualmente lanciate all’interno della postazione sia evitare che proiettili, infilando fortuitamente dall’esterno la feritoia, possano raggiungere il corridoio principale.
Le tre postazioni di mitragliatrici possono dirigere il fuoco rispettivamente, iniziando dalla prima vicino all’ingresso, verso sud-ovest, verso ovest e verso nord-ovest; praticamente coprono il fronte della pineta costiera meridionale.
Verso l’interno è presente una grande vano, sulla cui volta si apre un camino di aerazione, destinato a fungere da deposito di munizioni e ricovero del personale.
Da questo locale si diparte una galleria che, per incoerenza dei materiali attraversati, è in parte crollata durante lo scavo e quindi abbandonata dai genieri. Questa galleria doveva servire a collegare questo bunker con il precedente posto allo stesso livello.

IL BUNKER DI QUOTA 22 METRI

Scavato nella parete rocciosa del monte di Cuma per tutta la sua estensione da nord a sud, è caratterizzato da un esteso e vasto corridoio principale [19-20] 
  


da cui dipartono una serie di gallerie minori [21-22] 


che conducono alle postazioni di artiglieria [23A, B, C e D] 






che vanno a coprire tutto l’orizzonte semicircolare [24A e B]. 


Anche qui corridoi e vani di alloggio delle batterie hanno uno spesso rivestimento di calcestruzzo inoltre, come per il bunker inferiore, pareti di calcestruzzo con disposizione alternata vanno a costituire grandi diaframmi antischegge [25A e B].



In più punti, data la vacuità della roccia trachitica soprastante, i genieri hanno realizzato accurate colmature e tompagnature con sassi e malta cementizia. Il corridoio principale sviluppa circa 115 metri cui si aggiunono altri 125 metri dati dalla somma della lunghezza delle varie gallerie di tiro. Tutti gli ambienti hanno una larghezza che va dai 3 ai 6 metri ed un’altezza di metri 3.
Le feritoie, che hanno corazzature frontali date dal calcestruzzo, permettono una limitata possibilità di movimenti delle artiglierie sia come alzo che come brandeggio. Comunque i pezzi utilizzati, da 75/27 [26], 

sono cannoni e non obici, pertanto le feritoie non necessitano essere molto ampie in altezza. Le artiglierie sono fissate al piano di calpestio mediante apposite scasse verso cui divergono i timoni dell’affusto [27A e B] 


ed i serventi dispongono, per il pronto impiego, di depositi di munizioni dietro la parete posteriore del più interno dei due diaframmi che in pratica va a delimitare una sorta di vano [28]. 

Altri locali di deposito e di ricovero si trovano alle estremità del corridoio principale.
Anche in questo bunker risultano non completate almeno due postazioni di tiro [29A, B e C] 



nonché una abbozzata galleria, ancora non consolidata e rivestita, destinata probabilmente a collegare questo bunker con i sottostanti muniti di armi automatiche [30].

Dal corridoio principale si diparte una rampa gradinata [31A e B] 


che, dopo aver percorso 40 metri, sbuca sulla cima del monte di Cuma dove, alla quota di poco oltre i 50 metri, si raggiunge un pozzo a cielo aperto che una volta scalato offre una visione semicircolare dell’aerea compresa entro il tiro delle artiglierie sottostanti. Evidente quindi il collegamento funzionale tra la postazione dei cannoni e le casematte, presenti sull’orlo della rupe, che danno protezione alla stazione di osservazione, punteria e tiro.


FORTIFICAZIONI DI QUOTA 50/60 METRI

Sulla terrazza sommitale del Monte di Cuma è presente un sistema combinato di piazzole e ricoveri collegati tra loro da una trincea interrata. Le piazzole, che alloggiano una sezione antiaerea tedesca, sono in cemento armato per poter ben sopportare il peso del pesante pezzo d’artiglieria e sono di forma circolare per consentire all’affusto di girare completamente sui 360 gradi.
Nelle immediate vicinanze ci sono alcune strutture in calcestruzzo, seminterrate [32A e B], 


destinate a riservette proiettili di pronto impiego. Infine, oltre un camminamento sotterraneo, si giunge ad un locale corazzato che serve da rifugio ai serventi ed al personale del posto comando.

FORTIFICAZIONI ALLA BASE DELL'ACROPOLI
La stessa spiaggia e la vicina pineta nascondono altre strutture costruite a difesa ed a servizio del caposaldo di Cuma.
In particolare sono presenti numerose fortificazioni "leggere" in calcestruzzo, senza fondazioni e appoggiate direttamente sul terreno, come le Postazioni Circolari Monoarma (P.C.M.) con difesa a 360 gradi [33].

Troviamo poi le Postazione in Barbetta come quella realizzata direttamente sulla foce del collettore fognario che ospita un pezzo contro carro [34A e B],


con annesso ricovero/riservetta [35A e B], molto esposta ma efficace per prendere d’infilata la spiaggia.



Ci sono poi le classiche Tobruk, postazioni di disegno tedesco ma di costruzione italiana; le realizzazioni italiane differiscono da quelle tedesche per la forma circolare dell'apertura superiore [36A, B e C].



Sparpagliate tutte intorno casematte fortificate ad uso ricoveri e depositi munizioni [37A e B], 


camminamenti (profondi fino a 7 metri come quelli scavati nella proprietà Poerio sul retro dell’acropoli) ed infine numerose baracche, addossate al monte, atte ad ospitare la guarnigione ed i servizi di sussistenza.
Naturalmente la spiaggia, il bosco, le dune costiere e tutti i dintorni ospitano campi minati e dappertutto si notano fossati, cavalli di frisia e reticolati [38].



PRESIDIO DEL CAPOSALDO DI CUMA
Già dall’agosto 1941 il comando della 6° Armata ordina al “Comando Difesa Territoriale di Napoli” di destinare alla difesa costiera i battaglioni presenti ai depositi dei reggimenti di fanteria rientranti nella sua giurisdizione, tra cui il 40° Reggimento di Fanteria Bologna che ha sede a Napoli. Così, mentre il reggimento combatte in Africa Settentrionale, il battaglione di “sedentari e complementi” presente presso il suo deposito è trasformato nel 162° Battaglione Territoriale e dislocato a Battipaglia con l’incarico di difendere quella costa. Successivamente, con cambio di denominazione da Territoriale a Costiero, è inquadrato nel 17° Reggimento Costiero della 222° Divisione Costiera, e riposizionato ad Agropoli.
Altro esempio è dato dal 230° battaglione costiero formato a Reggio Calabria presso il deposito del 208° Reggimento di Fanteria “Taro”. Così, mentre il reggimento originale combatte nella penisola balcanica, il suo battaglione di “complementi” viene inviato a presidiare i Campi Flegrei ponendo a Baia il suo comando [39].

Ma dalla seconda metà del ’42 anziani e reduci del 40° Reggimento nativi del napoletano, che rientrano dopo tre anni di permanenza in Africa, ottengono di prestare servizio nei battaglioni vicini alle loro abitazioni. Pertanto non vengono più inviati ad Agropoli presso il 162° battaglione ma assegnati al 230° battaglione costiero dislocato nei Campi Flegrei che, seppure nominalmente, continua a dipendere dal 208° Reggimento con sede a Reggio Calabria [40].

A presidiare l’imponente complesso di Cuma vengono chiamate unità di varie specialità che messe insieme hanno la consistenza di un battaglione rinforzato. Il caposaldo viene denominato “Brescia”, come da consolidata prassi che assegna nomi di città ai caposaldi costieri, sia di sbarramento che di contenimento (“Biella” il caposaldo di Torregaveta, “Brindisi” quello di Baia, “Agrigento” quello di Ischitella, e “Bergamo” il vicino caposaldo posto nella Masseria Ferraro in località La Schiana) [41].

Nello stesso tempo i posti di blocco costieri ricevono nomi propri maschili (“Bernardo” quello al quadrivio di Arco Felice, “Beato” al quadrivio dell’Annunziata”, “Bruno alla Montagna Spaccata, “Alfredo” al quadrivio di Varcaturo). Da notare che caposaldi e posti di blocco dipendenti dalla “XXXII Brigata Costiera” hanno nomi che iniziano con la lettera “A” e quelli dipendenti dal “Comando Difesa Porto di Napoli” nomi che iniziano con la lettera “B”. I caposaldi dipendenti dalla “222° Divisione Costiera” hanno nomi che iniziano con la lettera “C” ed i nomi di quelli delle zone interne iniziano con la lettera “D”.
Le importanti postazioni in caverna sono assegnate alla 29° batteria [42], 

appartenente al 14° Raggruppamento Artiglieria Guardia alla Frontiera dotata di cannoni da 75L27; questa batteria ha un organico di 160 militari.
Durante le fasi costruttive lo stesso genio militare, data la colossale proporzione dei lavori fatti ed in corso, riferisce che sarebbe opportuno venisse esaminata la possibilità di sostituire l’armamento da 75mm con altro più potente da 90mm. Ma già i 75/27 sono delle "bestioline" abbastanza complesse ed i piccoli ingressi delle caverne fanno pensare che i pezzi siano prima smontati e poi riassemblati all'interno [43].

Per immagazzinare i proiettili viene addirittura utilizzata la stessa “Grotta della Sibilla” mentre la “Cripta Romana” è adoperata come passaggio tra una postazione e l’altra.

Le postazioni di armi automatiche sono affidate ad una compagnia mitraglieri del 230° battaglione costiero che è presente anche con una compagnia fucilieri; in genere tutti i battaglioni costieri hanno due compagnie fucilieri e due compagnie mitraglieri. Inizialmente il 230° battaglione, che insieme ai battaglioni 318° e 319° fa parte del 117° Reggimento Costiero, ha l’incarico di presidiare il tratto litoraneo che dalla Foce di Licola arriva a Nisida; praticamente tutta la costa dei Campi Flegrei. Poi nel corso del 1942, con le accresciute postazioni difensive e nuove esigenze, riduce il suo campo operativo da Foce di Licola alla vicina Torre Fumo posta nel comune di Monte di Procida. Nello stesso tempo il battaglione porta da quattro a sei le compagnie che lo compongono; questo dimostra le accresciute necessità che nel contempo costringono il 117° reggimento a spostare il suo comando a Pozzuoli in via Roma; dove oggi c’è il mercato ittico all’ingrosso.
Sulla sommità dell’acropoli, come già accennato, è presente un nucleo avvistamento del 74° Gruppo Artiglieria Pesante C/A che ha il comando presso il castello del Rione Terra a Pozzuoli. Questo gruppo, che a sua volta appartiene alla 19° Legione Artiglieria Contraerei della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (MVSN), ha molte batterie dislocate tra il Molo di Pozzuoli e varie località dei Campi Flegrei dei quali si è assunto il compito della difesa antiaerea territoriale (DICAT).
Nel luglio 1943, in seguito alla reale prospettiva di uno sbarco alleato nella zona, anche i tedeschi collaborano con una loro sezione, composta da due pesanti pezzi antiaerei. Questi sono piazzati a Cuma sulla terrazza sottostante il Tempio di Giove; il personale è composto da circa 20 soldati ed il posto comando si trova nella vicina Villa Vergiliana, costruita proprio dai tedeschi nel 1911 per una società archeologica [44].

Contrariamente a quanto si riferisce in qualche altro testo è questa l’unica batteria antiaerea di questo caposaldo che, così, acquista un simbolico significato nell’alleanza italo tedesca.


ATTIVITA’ DEL CAPOSALDO DI CUMA
La guarnigione di questa caposaldo non sarà mai chiamata a contrastare uno sbarco e svolge un servizio di routine che la vede impegnata nell’osservazione marittima ed aerea utile a contrastare eventuali arrivi di sabotatori e spie, come realmente successo nel precedente autunno del ’42. Naturalmente si susseguono allarmi ed esercitazioni di addestramento [45], 

così come proseguono i lavori di perfezionamento e rafforzamento della piazzaforte.
Ai primi di settembre del ’43 giungono in zona reparti tedeschi provenienti dalla Sicilia e dalla Calabria, regioni che hanno dovuto sgombrare a seguito degli sbarchi anglo americani. Ufficialmente dichiarano di voler rafforzare la difesa a nord di Napoli, la più probabile candidata ad un nuovo sbarco; ufficiosamente sono pronti ad assumere il controllo dell’intera zona anche contro la volontà degli italiani che ormai considerano ambigui.
Contro tutte le aspettative gli alleati scelgono il golfo di Salerno per il loro sbarco dell’otto settembre 1943 e, con il contemporaneo annuncio dell’armistizio firmato dall’Italia, s’incrinano i rapporti tra le forze tedesche e quelle italiane. I comandi militari in Italia e all’estero apprendono dell’armistizio, come i comuni cittadini, dal messaggio del Maresciallo Badoglio diffuso dalle stazioni radio alle 19:45 dell’8 settembre 1943.
Nella stessa notte i tedeschi prendono possesso del Posto di Blocco e delle batterie di Arco Felice che sono vicinissime alla sede del loro comando che trovasi all’Albergo dei Cesari di Lucrino. Ma una compagnia del 1° Reggimento di Bersaglieri, partita da Napoli su autocarri e guidata dal capitano Milano, provvede a ricacciarli nelle prime ore del 9 settembre. Successivamente i tedeschi ritornano in soprannumero e riescono ad occupare il Posto di Blocco Costiero. In questo frangente le truppe italiane, senza ordini e senza comandi si dissolvono facilmente come succede contemporaneamente dovunque siano dislocate, in Italia, in Francia, nei Balcani e nell’Egeo.
Nel piccolo scenario dei bunker del Monte di Cuma si consuma così uno spaccato di una situazione più generale, anche se non è del tutto chiaro la sorte del suo Caposaldo e di quello vicino posto nella Masseria Ferraro. Lo stato Maggiore Italiano riporta che entrambi ancora il 10 settembre sono interessati da attacchi da parte tedesca che però falliscono. Questa inaspettata resistenza da parte italiana potrebbe essere stata attuata dai validi componenti del 230° battaglione composto, per la maggior parte, dai reduci della 25° Divisione Bologna che ha dure esperienze di battaglia nei deserti cirenaico e marmarico. Sembra che solo dopo il giorno 11 i tedeschi riescano a controllare tutta la zona e questo porterebbe a credere che i due caposaldi siano tra gli ultimi in Italia a cedere le armi. La conseguenza sarebbe che i tedeschi non siano riusciti a prendere possesso delle armi e delle munizioni che, prima di essere abbandonate, sono oggetto di distruzione da parte degli italiani.
Il giorno 12 i tedeschi finalmente occupano il caposaldo ed una loro guarnigione subentra a quella italiana. Nel corso del mese, contrariamente alle loro intenzioni, non possono utilizzare le artiglierie dei bunker per cannoneggiare le coste delle vicine isole di già occupate dagli alleati che impegnano il caposaldo con continue azioni di disturbo condotte da motovedette. Queste scaramucce notturne, che procurano alcuni morti, vengono condotte a partire da Ischia e sono finalizzate a simulare un prossimo sbarco e conseguentemente a trattenere grosse aliquote di truppe tedesche che altrimenti potrebbero essere impegnate sulla linea del fronte.
A fine settembre, prima di andar via, i guastatori tedeschi provvedono a minare i bunker ed a distruggere tutto quanto possa essere utile. A tale scopo fanno saltare in arie le fortificazioni di Cuma [46A e B] 


e quelle della Masseria Ferraro. Appena andati via i tedeschi i fratelli Scamardella Leonardo di 16 anni, e Scamardella Biagio di 34 anni, insieme al sedicenne Michele Carannante corrono ai piedi dell’acropoli dove trovano vari residui bellici abbandonati dai soldati italiani. I tre iniziano a giocare con queste armi ed uno di loro spara anche qualche colpo in aria che però attira l’attenzione di una pattuglia tedesca ancora nei paraggi. Quando la squadra si avvicina i tre gettano le armi e scappano; riescono a percorrere solo pochi metri perché sono subito abbattuti dal fuoco dei soldati tedeschi che non perdonano l’imprudenza e la curiosità dei tre poveri ragazzi.

Con l’occupazione alleata tutto il perimetro del caposaldo di Cuma è destinato ad esercitazioni di sbarco e di demolizioni da parte dei Rangers che così si apprestano all’operazione di Anzio. In seguito l’area sarà destinata all’addestramento della 3° Divisione americana in previsione dello sbarco in Provenza ed in questo caso molto apprezzata è la rupe trachitica [47] 

che ben si presta a simulare sbarchi su coste impervie. Comunque tutte queste operazioni causano ulteriore distruzione delle opere militari ed alla natura del luogo.


CAPOSALDO DI CUMA OGGI
Nell’immediato dopoguerra i bunker subiscono la spogliazione di tutto quanto sia recuperabile ed il sabotaggio di ciò che non sia asportabile.
La struttura è poi usata per bonificare e far brillare ordigni rinvenuti in zona o qui portati dagli artificieri da altri luoghi; utilizzo questo che ancora continua da parte delle forze di polizia che vi fanno brillare i fuochi d’artificio sequestrati. A tale scopo si servono della piazzola esistente sul collettore fognario, ed anche per questo le strutture hanno l’aria d’essere danneggiate più pesantemente di quanto abbiano potuto fare i guastatori tedeschi o rangers americani.
Ma anche a guerra conclusa non mancano gli incidenti mortali; il 7 giugno del 1951 cinque ragazzi perdono la vita cercando di rimuovere la polvere da sparo da un ordigno inesploso ritrovato nella zona di Cuma.
Anche in seguito si trovano munizioni nel territorio circostante la rupe, e fin dentro l’area archeologica. A fine agosto 2012 “Il Mattino” di Napoli riporta la notizia del rinvenimento, nel corso della nuova campagna di scavi sotto il tempio di Cuma e tra le tombe protocristiane, di proiettili, colpi di mortaio, cucchiai e divise di militari del secondo conflitto mondiale.

Ricordo che negli anni ’50 e ‘60, i bunker sono oggetto d’esplorazione di noi giovani boy scout puteolani e vari racconti li davano frequentati per gli usi più diversi e strani.

Si dice che inizialmente qualche caverna, perdurando la crisi degli alloggi, sia stata adattata ad abitazione da una famiglia “nomade”.
Sembra che poi l’ingresso del primo bunker “basso” abbia fatto da salotto e luogo di lavoro per alcune “signore allegre”.
Infine viene riferito che, almeno fino al 2012, la parte più accessibile sia stata abitata da un personaggio definito alquanto “strano” e solitario [48A e B].


Attualmente tutta la base del promontorio è circondata da boscaglia, o meglio sterpaglia, che impedisce l’avvicinamento al complesso che trovasi inserito nella vasta area costiera della Foresta Regionale di Cuma.
L’Assessorato Regionale all'Agricoltura, Ente che gestisce questa foresta, organizza visite ad interesse prevalentemente naturalistico attorno al Monte di Cuma e lungo il sentiero che va al fino Tempio di Iside. Lungo questo sentiero è possibile visitare alcune postazioni ed un deposito di munizioni della seconda guerra mondiale.
Voci, non confermate, parlano di una messa in sicurezza dei vicini bunker e di un loro inserimento in futuri percorsi gestiti sempre dal suddetto Ente.
Oggi gli ex bunker di Cuma, paragonabili al più famoso “Vallo Alpino” nonostante si presentino degradati dal tempo e dall’uomo, restano quale muta testimonianza di un periodo triste e confuso della nostra storia recente.


Giuseppe Peluso


NOTE
- Gli schizzi dei Bunker sono stati elaborati da originali di Giovanni D'Andrea
- Le foto attuali sono state scattate unitamente al caro amico Geppino Lo Feudo
- Documenti e vecchie foto provengono da ricordi di Famiglia

BLIOGRAFIA
Simon Pocock – Campania 1943 – Provincia di Napoli - Parte II – Zona Ovest
Giovanni D’Andrea – I Bunkers di Cuma – 1991
Paolo Caputo – Vicende e conseguenze della II Guerra Mondiale a Cuma - 1997

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